
Me lo sono sempre chiesta, come fanno. Io non lo potrei sopportare, troppo debole. Forse è per quello che molte volte ringrazio di non essere tifosa di una di quelle 2 squadre, perché questo mio speciale statuto mi permette di godermi i 90 minuti di gioco. Senza nessuna pressione. Senza nessuna sofferenza. Che vinca il migliore, e specialmente che vinca il calcio. Così la guardo io, la finale di champions league. Ma loro no, i tifosi di quelle due squadre, non la vivono di certo così. Loro la sentono, soffrono, esultano, piangono. Io da casa li vedo sul mio schermo, con quelle facce tese, preoccupate, con quello sguardo perso nel vuoto, con quelle lacrime agli occhi. Eh no, loro proprio non se la godono. Non so come fanno. Ci penso sempre. Come fanno a rimanere li a vedere la partita quando la loro squadra è sotto di un gol e mancan 15 minuti alla fine? Come fanno a non svenire quando il loro capitano tira il quinto rigore della serie, quello decisivo? Per fortuna il mio Bellinzona non arriverà mai in finale di Champions’league. Per fortuna.È dura. Anzi durissima. Perché se sei un simpatizzante, vai allo stadio, ti godi il calcio, esci con un sorriso se la squadra vince e mal che vada esci esclamando "eh bohn, sarà per la prossima". E invece quando sei tifoso, tutto cambia. La parola che ti accompagna è paura. Paura allo stato puro. Devi abituarti a conviverci, non hai scampo. È lei che ci ha accompagnato in queste due partite, è lei che rimane alla fine. E allora continui a pensare alle cose che hai vissuto.Ripensi ad un comunale incredibile, che hai visto pieno, granata. A quei contropiedi maledetti, a quell’asta alla fine della partita. Pensi che però dopo quella partita ci credevi ancora. Anche se era un misto tra il crederci e quella sensazione che hai sempre da tifoso di non farcela. La paura non ti abbandona. Perché tra mercoledì e domenica, hai pensato solo a quello, con quella consapevolezza di potercela fare, ma con quel sentimento che alla fine non ce l’avremmo fatta. E soffri. Poi arriva finalmente il grande giorno. Ti giochi un campionato in 90 minuti. La gloria o la sconfitta. 90 minuti. Un susseguirsi di emozioni, una azione dopo l’altra, un coro, uno sguardo al tabellone, uno alla curva avversaria. Ma lei è li, non te la levi, in nessun modo. È li, e ti blocca, ti stringe nella sua morsa. ACB..ACB provi a cantare per cercare di scacciarla. Ma lo sai che non puoi levartela di dosso. Inspiri profondamente. Guardi il campo. Ma niente; c’è ancora. Imprechi, “dai, dai che ce la facciamo”, rivolgi lo sguardo al vicino sperando di trovare un volto disteso che ti rassicura, ma ti accorgi che non è così. Guardi il tabellone. C’è ancora tempo. In campo la tua squadra macina gioco a non finire, ma questo non è abbastanza per renderti tranquillo. Sei sempre li con quel nodo in gola. Paura, hai paura. Perché in ogni secondo tutto può finire in niente. E tremi. Ogni azione diventa un incubo, ogni tiro verso la tua porta è un anno di vita perso. Ogni tiro nella porta avversaria è una piccola speranza che si spegne quando il portiere afferra la palla nei suoi guantoni. Fino a quando un passaggio in profondità di Lulic libera Ianu. Niente. Occasione sprecata. Fine primo tempo. E la paura è ancora li.I 15 minuti di intervallo sono un misto tra rassegnazione e speranza. Ci hai pensato per tutte queste settimane, a come festeggiare in caso di vittoria. Hai sognato, vedendo la piazza del sole gremita di gente mentre i giocatori sfilano uno ad uno ricevendo l’applauso caloroso del pubblico. Ti sei raggelato, immaginandoti un gol avversario proprio sul più bello.Rimangon 45 minuti. Solo 45 minuti!Il tuo sguardo è su quel rettangolo di gioco, ogni tanto si alza per vedere il tempo che scorre inesorabile, il tabellone marca sempre due zeri. La paura è li, e la tensione sale. Cominci a cantare più forte, perché temi che o segni ora o non segni più. Le azioni passano, il tempo scorre. Ianu. Tiro. Gol. Vai via. Pensi. Via. Ora la vinciamo. Ma sei solo un povero illuso. Perché nonostante l’euforia del gol, lei è sempre li. E ogni azione la senti, ogni occasione ti fa salire i battiti.Fino a quando loro pareggiano, e li la paura si trasforma in terrore. Perché i minuti sono pochi, e anche se segniamo non è abbastanza per vincere. E ora non ce la fai più, sei bloccato, non ci credi più, cominci a diventare dubbioso, cominci a dare retta a quella Maledetta, quella che ti faceva pensare che alla fine non ce l’avremmo fatta. E ti trovi spaesato. Non trovi più il filo. Poi senti qualcuno da parte a te che grida “dai non molliamo”. Ti risvegli, cerchi di sostenere, ma hai quel groppo in gola che non si slega più. Nella tua testa passano mille immagini. Bellinzona, i castelli, quel simbolo di orgoglio, li, sopra tutti, inamovibili. Gli occhi son fissi e tu rivedi quella traversa maledetta dell’incontro di andata. Forza Bellinzona! Dai, che ce la facciamo ancora! Ma la paura ti ha ormai divorato. Ha vinto lei. Tu puoi solo incassare. Altri 2 gol. Rimani così. Senza parole. Con lo sguardo perso nel vuoto. Con il viso triste. Con le lacrime agli occhi. Ti immagini il simpatizzante che dice “eh vah béh, sarà per la prossima volta”. Ma tu sei un tifoso. Tu la senti la partita, soffri, esulti, piangi. Non te la godi è vero; però quante emozioni. Altro che Milan- Liverpool. La mia piccola champions.Bellinzona, la capitale, l’ACB. Una città. Una leadership. Una squadra. Quella che ha risposto presente, quella che si è consolidata, quella che è tornata a farci battere i cuori. Non ci sono parole che descrivon questo momento, un misto tra gioia e sofferenza. Tra l’orgoglio di averci provato e l’arrabbiatura di non avercela fatta; perché il campo ci ha tradito, perché su quel campo, c’era una sola squadra. L’ACB. E la serie A… era li … a 2 passi…Quello che rimane adesso è una serie di parole, immagini, emozioni difficili da rimettere assieme. Eh allora ripensi a quando tuo nonno ti raccontava del gioco più bello del mondo “el giöc dal fotbal”. Quando quelli che hanno vissuto quei mitici anni ottanta ti raccontavano storie che a te parevano leggende. “Ma rigordi quand al stadi serom in quindasmila e giugava un brasilian, al sa ciamava Paulo Cesar, tüt al sa colorava da granata e sa vedeva mia l’ora dala partida per podé nà al camp”. Quante volte le ho sentite queste parole, quante volte poi ho guardato la foto di quel giocatore, che tengo appesa in camera, immaginandomi quei momenti, i volti delle persone, le azioni e i boati del pubblico ad un gol. In realtà avevo solo 2 anni quando a Bellinzona era esplosa la mania brasiliana e a quell’età i miei interessi non erano di certo legati al calcio. Eppure mi sembra di aver vissuto quelle magnifiche stagioni: ho una foto, che per me dovrebbe essere irrilevante, ma me la tengo stretta, ho delle istantanee stampate nella mia mente, come se in quegli anni, allo stadio, ci fossi stata anch’io.E ripensi alla tua città. Perché senza di lei questo momento non sarebbe stato così favoloso. Perché è grazie alla passione che Bellinzona ha sempre avuto per questo sport che fin da piccola ho fantasticato immaginandomi il Comunale di oggi pieno, con bandiere e sciarpe di un solo colore, con i visi sorridenti delle persone, con una squadra pronta a vender cara la pelle alle compagini rinomate d’oltre Gottardo. Se non c’era la mia città, se non c’eran le persone che mi raccontavan quegli anni, io non avrei sognato. Se non c’eran loro, mercoledì e domenica, il mio sogno da bambina non si sarebbe potuto realizzare. È questo che mi porterò con me dopo queste partite, la consapevolezza di aver realizzato un piccolo desiderio, e la paura, perché quella rimane sempre, di non più vedere queste scene, la paura che la squadra si sgretoli, che i migliori vadano via, che non saremo più competitivi. Quella di non riuscire più a vivere un momento così importante, di non riuscire ad andare in serie A. Eh allora il sogno di bambina si ripresenta. Penso alla foto di Paolo Cesar, penso alla traversa, penso al gol sbagliato da Ianu… e sogno… la mia piccola campionessa.Grazie città, grazie ACB per avermi fatto diventare una tifosa. Senza di te, avrei continuato a pensare che la Champions’league, era tutta un’altra cosa.
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